Il doppio tradimento da parte del marito e dell’amica di famiglia non giustifica la condotta aggressiva e persecutoria della moglie tradita. La condotta dell’amica, infatti, è rilevante solo sul piano dei rapporti personali, ma non può essere invocata dalla stalker come una provocazione per ottenere uno sconto della pena. Questa la conclusione della Cassazione che con la sentenza n. 2725/2020 ha respinto il ricorso dell’imputata.
Condanna per stalking, lesioni e violazione di domicilio
La Corte d’Appello conferma per le imputate la condanna del giudice di primo grado per i reati di stalking, lesioni personali e violazione di domicilio ai danni delle figlie e dell’amante del marito.
Il ricorso in Cassazione
Le tre imputate ricorrono in sede di legittimità deducendo, con il primo motivo la violazione dell’art 612 bis cp che prevede il reato di atti persecutori, per la carenza della abitualità della condotta. Le condotte di cui sono state ritenute responsabili le imputate infatti risalgono all’indomani della scoperta della relazione extraconiugale del marito, a cui vanno aggiunti solo altri due episodi.
Non è stato provato inoltre alcuno stato d’ansia, di paura o il timore fondato per l’incolumità della vittima e dei propri familiari in capo alle persone offese, in modo grave, perdurante e motivato, come richiesto a legge, dedotta dai giudici dalle sole dichiarazioni delle vittime.
Con il secondo invece si contesta la negazione dell’attenuante della provocazione. Per la Corte d’Appello l’esistenza di un certo lasso temporale tra scoperta della relazione e reazione delle imputate fa venire meno un presupposto importante per il riconoscimento dell’attenuante. Da considerare inoltre il contesto socio culturale in cui si sono svolti i fatti e in cui il tradimento assume un significato particolarmente negativo.
Per provare lo stato d’ansia e paura provocati dallo stalker non serve perizia
La Cassazione con sentenza n. 2725/2020 respinge il ricorso perché infondato.
Il primo motivo, con cui le parti rilevano l’assenza di abitualità della condotta, richiesta per l’integrazione del reato di stalking, è inammissibile. I giudici d’Appello hanno rilevato come le imputate all’indomani della scoperta della relazione extraconiugale abbiano messo in atto varie condotte persecutorie fatte di messaggi anche via Facebook, accesso nell’abitazione dell’amante, aggressioni verbali e fisiche, perfino ai danni delle figlie di quest’ultima.
La paura paralizzante della donna e delle figlie che le ha costrette a un trasferimento è stata causata da continue aggressioni verbali e fisiche che si sono ripetute anche quando in un’occasione l’amante è stata costretta a rientrare nella vecchia abitazione. In quell’occasione infatti le imputate avrebbero nuovamente minacciato e ingiuriato le persone offese, colpendo una di loro al volto con una sigaretta accesa.
Per la prova dello stato d’ansia richiesto ai fini del reato di stalking è ormai noto che non è necessaria una perizia. Basta che il giudice faccia riferimento a massime d’esperienza “che consentano di ricostruire gli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa.” Da qui l’infondatezza dei rilievi sollevati in relazione alla prova delle ripercussioni in termini di paura, ansia e condizionamento delle persone offese.
Il tradimento di un’amica non è una provocazione, per cui niente attenuante
Per quanto riguarda il secondo motivo del ricorso, la Cassazione richiama la decisione della corte territoriale, la quale chiarisce di non aver applicato l’attenuante della provocazione per la “mancanza di un atteggiamento genuinamente vessatorio della vittima, tale da motivare e giustificare l’inconsulta e prolungata reazione delle tre imputate.”
Sulla questione del lasso temporale il giudice d’appello ha invece precisato che “non vi fu alcuna vera contestualità spazio temporale, tra il fatto scatenante e la sconsiderata, insistita e pervicace reazione.” Evidente quindi che il giudice dell’impugnazione, nel negare l’attenuante della provocazione, ha applicato correttamente la giurisprudenza della Corte di legittimità la quale ha ribadito che “ai fini della integrazione del fatto ingiusto altrui, presupposto dell’attenuante della provocazione, è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale.”
Sul punto la Corte ritiene che, il fatto che il marito abbia tradito la moglie con un’amica di famiglia, non può essere qualificato come “fatto ingiusto” secondo la nozione accolta dalla giurisprudenza di legittimità. Così come non è giuridicamente rilevante la condotta “ingiusta” dell’amica di famiglia. Il fatto che la persona offesa abbia intrecciato una relazione con il marito di un’amica rileva infatti solo sul piano dei rapporti interpersonali, non rientra tra le condizioni per le quali si può applicare la circostanza attenuante invocata.